DOMENICA «DELLA MANIFESTAZIONE DEL RISORTO AL LAGO», III di Pasqua C

Gv 21,1-19; At 5,27b-32.40b-41 (leggere 5,27-42); Sal 29; Ap 5,11-14

 

 

L’apparizione del Cristo a sette discepoli, sul lago di Tiberiade, segna una tappa importante nella crescita della fede pasquale. Come il Padre aveva mandato il Figlio nel mondo, così il Signore Gesù invia in missione i suoi discepoli. La rete traboccante di pesci è la parabola vivente di un apostolato che il risorto renderà fecondo e di cui Pietro, a motivo dello speciale amore che nutre per il Maestro, assumerà la responsabilità suprema. Come gli apostoli, tornati alle loro reti dopo il tragico episodio della passione, anche noi siamo tentati a volte di perdere la speranza. E se la nostra fede nella risurrezione non fosse che un’«illusione religiosa»? Se il Cristo non fosse più presente in certe nostre comunità, così chiuse in un atteggiamento di difesa e così poco inclini all’audacia apostolica? È facile essere tentati di ritornare ai soliti compiti quotidiani, stabili e rassicuranti nella loro banalità.

Invece no! Sulla riva di questo mondo c’è qualcuno, più attivo e più personale che mai, che ci invita a gettare le reti. Non riusciamo sempre a riconoscerlo fin dal primo incontro, ma c’è: è presente all’interno delle nostre solidarietà umane e professionali, nella nostra vita di credenti insoddisfatti di una fede inerte, nell’impegno di coloro che cercano la verità, amano e perdonano, di coloro che lottano per un mondo migliore e più giusto. Ed è presente nel pane che spezziamo insieme facendo memoria di lui, per tornare poi alla realtà della vita quotidiana, sostenuti dalla forza nuova dell’agape.

E sarà per essa che anche a noi, come a Pietro, verrà il coraggio di gettarci in acqua.

 

Dall’eucologia:

Antifona d’Ingresso Sal 65,1-2

Acclamate al Signore da tutta la terra,

cantate un inno al suo nome,

rendetegli gloria, elevate la lode. Alleluia.

 

Nell’antifona d’ingresso, dal Sal 65,1b-2 AGC, l’Orante vuole cantare al Signore per tutti i benefici di cui fu gratificato. Nella versione ispirata, che è quella greca, seguita dalla Volgata, il titolo di questo Salmo è molto singolare: «canto del Salmo di resurrezione» (v. 1a). Di fatto il poema parla delle prove di morte subite, e insieme dell’intervento onnipotente del Signore, che libera e dona la sua pace ai suoi fedeli. L’applicazione alla Resurrezione è conseguente. Perciò l’Orante, nel tempo della salvezza, tempo benedetto, con un imperativo innico investe la terra intera affinché “giubili” festosamente in Dio (v. 1b; anche Sal 80,2; 94,1; 97,4; 99,1). La Redenzione è avvenuta (Is 44,23).

Ma la terra intera, ossia tutte le nazioni, sono chiamate con un altro imperativo innico alle parole d’esultanza e d’adorazione dovute al Signore Vivente, i Salmi, non perciò altri inni e canti, che sarebbero propriamente profani e non accettati dal Signore che si vuole celebrare (v. 2a). Lezione valida oggi, con le assemblee invase e invasate da canti scipiti e banalizzanti (nuovo stile occidentale della preghiera?).

Il destinatario unico dei Salmi è il Nome divino adorabile, Potenza di salvezza e Presenza di Bontà sempre operante, Nome glorioso e indicibile (Is 42,12), che deve diventare ormai per i fedeli la Lode a cui si tributa la glorificazione (v. 2b). Non esiste motivo più grande dell’opera massima della Redenzione avvenuta, la Resurrezione di Cristo.

 

 

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