Domenica «DELLA PARABOLA DEL FATTORE DISONESTO», XXV del Tempo per l’Anno C

Lc 16,1-13; Am 8,4-7; Sal 112; 1Tm 2,1-8

 

 

L’annuncio del Regno di Dio, del suo amore che salva, viene fatto in un mondo diviso tra ricchi e poveri. È un annuncio che, sconvolgendo l’intimo dell’uomo, sconvolge anche un certo tipo di ordine sociale.

C’è una falsa religione che i profeti non hanno mai cessato di denunciare: la religione di chi crede di avere la coscienza a posto con poca fatica, col compimento di riti e pratiche esteriori di culto. Spesso questa è una apparenza di religiosità che serve da copertura allo sfruttamento dei poveri.

Nella prima lettura compaiono ricchi commercianti che fanno il riposo del sabato, in cui era proibito il commercio, pensando come imbrogliare i poveri e come frodare sulla merce o sui prezzi. Per il ricco accogliere l’annuncio del Regno è trasformare i beni da oggetto di preda in mezzo di amicizia e di comunione. Già abbiamo ascoltato (Domenica XXIII) l’invito di Gesù a vendere tutto e darlo ai poveri. Qui ci viene detto: «Procuratevi amici con la disonesta ricchezza».

L’amicizia che il ricco deve costruire non è frutto del suo buon cuore, ma esigenza e dovere che gli deriva da ciò che possiede. Ciò che egli dona non deve avere l’aspetto di un’elemosina. Il povero nella comunità cristiana ha dei diritti che vanno soddisfatti. Il ricco deve sentirsi più un attento amministratore dei beni che un proprietario.

«Non sei forse un ladro, afferma san Basilio, tu che delle ricchezze di cui hai ricevuto la gestione, ne fai cosa tua propria?… All’affamato appartiene il pane che tu conservi, all’uomo nudo il mantello che tieni nel baule, a chi va scalzo le scarpe che marciscono a casa tua, al bisognoso il denaro che tu tieni nascosto. Così tu commetti tante ingiustizie quanta è la gente cui potevi donare».

Continua sant’Ambrogio: «È giusto perciò che, se rivendichi qualche cosa come privata di ciò che è stato dato in comune (la terra) al genere umano e persino a tutti gli animali, almeno tu ne distribuisca qualcosa ai poveri: sono partecipi del tuo diritto, non negare loro gli alimenti».

Ciò che i Padri predicano riferendosi a casi della propria Chiesa ora investe popoli, nazioni, milioni di persone. Nazioni o gruppi multinazionali esercitano il controllo sulla ricchezza con una libertà indiscussa, continuano a fare della ricchezza la fonte della divisione e ad approfittare di queste divisioni per il loro dominio economico. I capitali si spostano da un paese all’altro dove migliore può essere l’incentivo al guadagno. Milioni di lavoratori rurali non hanno né diritto né possibilità di accedere a terre che pure sono loro, mentre grandi proprietari tengono incolte le loro terre in vista di un migliore sfruttamento o di una più grande sorgente di guadagno.

 

Dall’eucologia:

 

Antifona d’Ingresso

«Io sono la salvezza del popolo»,

dice il Signore,

«in qualunque prova mi invocheranno, li esaudirò,

e sarò il loro Signore per sempre».

 

L’antifona d’ingresso è un centone di reminiscenze bibliche. Il Signore si proclama solennemente come l’unica Salvezza per il popolo suo, il popolo della sua alleanza. E promette che non esiste tribolazione da cui non salvi, se invocato, esaudendo sempre, intervenendo con potenza, in modo da ristabilire l’alleanza fedele. Egli vuole essere «il Signore di essi», e vuole che essi siano «il popolo di Lui», in eterno (Ger 14,8; Sal 4,2; 49,15).

 

Canto all’Evangelo, 2 Cor 8,9

Alleluia, alleluia.

Gesù Cristo da ricco che era, si è fatto povero per voi,

perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.

Alleluia.

 

Il canto all’Evangelo ci aiuta a comprendere da dove viene il tesoro delle nostre grazie. Da Cristo Dio, fattosi volontariamente povero, fino al suo abbandonarsi alla Croce, affinché da questa sua estrema miseria venisse la ricchezza salvifica degli uomini.

Oggi più che mai, il denaro occupa un posto molto importante nella vita degli uomini, nonostante la svalutazione. Anche nei momenti più difficili ci sono abili speculatori che sanno prevedere le fluttuazioni del mercato dei cambi e spostano i loro capitali realizzando notevoli profitti. È gente che suscita comunque una certa ammirazione, anche se non si possono approvare i loro traffici: ci sanno fare, agiscono con destrezza e con intelligenza, hanno «successo» nella vita.

Nel caso dell’amministratore della parabola, che non solo sperpera i beni del suo padrone, ma arriva fino a falsificare la contabilità, è evidente che Gesù non ammira la sua mancanza di scrupoli, quanto piuttosto la sua sagacia e la sua abilità. Quando la fortuna gli volta le spalle, egli sa approfittare del breve spazio di tempo che gli rimane per farsi degli amici che si ricorderanno di lui, quando il padrone l’avrà messo alla porta. Un uomo previdente, di un’accortezza esemplare! L’abilità di un truffatore negli affari di questo mondo non potrebbe essere anche la nostra nella conquista del regno di Dio?

Gesù si sofferma quindi ad indicare qual è l’investimento fruttuoso, quale deve essere l’abilità cristiana nel campo della «ricchezza disonesta» e ingannatrice, che con la sua terribile forza di attrazione è capace di indurci a fare di essa il nostro idolo, tributandole un culto che è dovuto soltanto a Dio. Di questo cattivo padrone bisogna essere buoni servitori. In che modo? Usandone con disinteresse e generosità, al servizio dei più poveri. Questo significa evangelizzare il nostro senso della proprietà, troppo spesso pagano. In sintesi, si tratta di restituire al denaro il suo ruolo di mezzo e non di fine.

La pericope odierna fa ancora parte di quel «grande inciso», il blocco, proprio solo di Luca, che si chiama la «salita a Gerusalemme» (Lc 9,51-19,28), la cui proclamazione si estende dalla Domenica XIII alla Domenica XXXI. Questo itinerario è l’”esodo” del Figlio verso il Padre (Lc 9,31), e si consuma con la Croce e con la Resurrezione.

Lungo la strada, Cristo Signore battezzato dallo Spirito Santo e così inviato dal Padre a compiere il ministero messianico che consiste in via principale nell’annuncio dell’Evangelo e nelle opere della Carità del Regno. Gesù moltiplica gli insegnamenti salvifici, in specie con ripetute catechesi sulla povertà e sullo spossessamento, integrando però questa dottrina anche con quella del buon uso delle ricchezze, del lavoro, dei beni terreni in genere.

È noto che Luca ha tra i suoi argomenti preferiti il pregio della povertà e il pericolo della ricchezza, sicché il suo Evangelo potrebbe ugualmente essere definito l’Evangelo dei poveri o l’Evangelo dei ricchi perché gli uni e gli altri, sia pure in direzioni diverse, hanno di che imparare per la loro salvezza.

La comunità per cui è scritto il terzo Evangelo non si può ragionevolmente immaginare che sia composta solo di poveri e di sprovveduti di tutto; nel suo seno deve esistere, sia pure sottoposto a certe norme severe, anche chi possiede beni e li lavora e chi produce ricchezza per sé e per gli altri. Questo è stato compreso bene solo dal primo monachesimo, che, accettando in via di principio e con rigore la povertà e lo spossessamento, tanto più poneva come regola di vita «pregare e lavorare» con le proprie mani per sostentarsi e per procurarsi di che fare l’elemosina a Cristo nei poveri, imitando in questo anche l’apostolo Paolo.

 

 

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