Domenica «DELLA PARABOLA DELLA DIVINA MISERICORDIA», XXIV del Tempo per l’Anno C

Luca 15,1-32; Esodo 32,7-11.13-14 (leggi 32,1-14); Sal 50; 1 Timoteo 1,12-17

 

 

L’amore di Dio verso gli uomini è così gratuito che non possiamo pretendere di averne diritto: è talmente assoluto che non possiamo mai dire che ci venga a mancare. L’amore umano, al contrario, è così limitato e chiuso dal nostro egoismo, si spinge così raramente oltre la stretta giustizia o fuori della severità moraleggiante, che noi immaginiamo facilmente un Dio vendicatore ed una religione basata sul timore. Chi di noi sa ancora che la «grazia» che egli chiede a Dio significa «tenerezza» di Dio e «pietà» per il peccatore? Soltanto uno studio attento della parola di Dio può aiutarci a prendere coscienza del significato della misericordia indefettibile di Dio.

Cristo ci ha rivelato un Dio come lo vorremmo. Un Dio che è amore e misericordia. È una persona che stenta a trovare posto nella nostra società, la quale proprio per questo ne ha un bisogno vitale. Apparentemente non serve, non è utile, non frutta: però ci dà tutto, ci dà ciò che nessuna analisi scientifica, nessun progresso tecnologico e neppure lo sviluppo delle scienze umane potrà mai darci: sentirci amati singolarmente, uno per uno, in modo assoluto. Quando ci accorgiamo che Dio ci ama così, allora sentiamo che lo stare lontano da lui e dagli altri per altre ragioni umane è perdere tempo, è perdere Dio.

Nasce spontaneo allora il bisogno di chiedere perdono.

 

Dall’eucologia:

Antifona d’Ingresso Cf Sir 36,15-16

Da’, o Signore, la pace a coloro che sperano in te;

i tuoi profeti siano trovati degni di fede;

ascolta la preghiera dei tuoi fedeli

e del tuo popolo, Israele.

 

L’antifona d’ingresso, da Sir 36,18, adattato, con epiclesi chiede la pace per quanti sono trovati fedeli al Signore, affinché anzitutto siano fedeli alla loro missione i «profeti», i portaparola di Dio nella comunità e al mondo. L’epiclesi finale sigilla la richiesta, insistendo sull’ascolto da parte del Signore delle preghiere dei servi suoi, e del popolo suo Israele (vedi I lettura, il salmo responsoriale, l’Evangelo).

 

Canto all’Evangelo 2 Cor 5,19

Alleluia, alleluia.

Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo,

affidando a noi la parola della riconciliazione.

Alleluia.

 

Il versetto di 2 Cor 5,19ac, che orienta la proclamazione evangelica, parla del Disegno divino contemplante che è la riconciliazione con il Padre degli uomini peccatori. Il Padre se li è riconciliati mediante il Figlio morto e risorto e per portare l’effetto di questo agli uomini ha posto negli Apostoli la «Parola della riconciliazione», l’Evangelo della Grazia da annunciare agli uomini.

Ancora la proclamazione evangelica di questa domenica va letta a partire da Cristo battezzato dallo Spirito Santo, mentre, così inviato dal Padre, episodio dopo episodio passa e, senza interrompere mai la sua attività, annuncia l’Evangelo e compie le opere della Carità del Regno.

Questa pericope è ancora situata nel contesto della «salita a Gerusalemme» (Lc 9,51 – 19,28). Questo grande testo è proprio di Luca, “il viaggio-esodo” è proclamato dalla Domenica XIII alla Domenica XXXI. A Gerusalemme si deve adempiere l’esodo del Signore al Padre suo (Lc 9,31), che comprende la Croce, la Resurrezione e la gloria.

 

I lettura: Esodo 32,7-11.13-14

Mosè è salito sul Sinai per il colloquio a cui dopo l’alleanza (Es 24) il Signore lo chiama per ricevere le Tavole della Legge santa. Il popolo non tollera l’attesa, e si fabbrica il vitello d’oro, che adora al posto del Dio Vivente. Il Signore allora avverte Mosè della nefanda apostasia idololatrica e lo invita a recarsi a vedere (v. 7). E gli spiega la gravità del misfatto: il popolo intero tradì la via, si fece un idolo morto che adora, e lo onora come se fosse un dio, e avesse guidato l’esodo dall’Egitto (v. 8). Il Signore in modo giusto e severo constata adesso che si tratta di «un popolo dalla dura cervice», e chiede a Mosè di lasciare che lo punisca, distruggendolo, per costruire per lui un altro popolo da guidare (vv. 9-10). È evidente che il Signore vuole che Mosè interceda, e Lo implori, affinché possa fare misericordia.

E Mosè intercede con una «supplica epicletica per la nazione». Il suo argomento è fondamentale, ed egli sa altresì che esso è secondo quanto desidera da lui il Signore, e quindi a suo modo è inattaccabile e deve essere efficace. Come, argomenta nella sua perorazione, il Signore prima ha operato con tanta potenza per estrarre via questo popolo dall’Egitto, e adesso, anche se gravemente colpevole, vuole distruggerlo? Ma allora qual è la coerenza del Disegno divino per questo popolo? (v. 11). Di più. Il Signore deve fare memoriale della Promessa irreversibile e vincolante concessa ai Patriarchi, di costituire a essi un popolo innumerevole e di donare la terra, per sempre (v. 13).

Questo voleva sentire il Signore, che Mosè, mentre ama il suo popolo, ha un’indefettibile fedeltà verso il suo Signore, e che ha anche una forte comprensione della Fedeltà di Lui. Perciò immediatamente si placa, e lo manifesta (v. 14). Infatti, nessun peccato è senza remissione, se se ne chiede al Padre Buono il perdono, per sé e per gli altri.

 

 

 

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