Domenica «della predicazione di Giovanni Battista», II DOM. DI AVVENTO A

Mt 3,1-12; Is 11,1-10; Sal 71; Rm 15,4-9

 

Il messia lungamente atteso sta per venire. Il Giordano, dove Giovanni battezza le folle, non è una piscina miracolosa. Sottomettersi al rito della purificazione senza desiderare il rinnovamento della propria vita e della propria comunità, è cosa senza senso. Né la fede tradizionale né le opere basteranno a giustificare il fariseo. Non vi può essere battesimo (vita nuova) senza cambiamento di mentalità. Il nostro battesimo – al quale dobbiamo continuamente sottoporci – ci deve rinnovare nello spirito di Dio e farci ardere del suo fuoco.

Dio viene, portatore e operatore di salvezza per tutti. Il messaggio che accompagna la sua venuta parla di pace e di riconciliazione. Simbolica è quella presentata da Isaia (prima lettura) tra nemici «naturali» che lottano per la sopravvivenza; reale e simbolica nello stesso tempo quella presentata dall’apostolo (seconda lettura) tra nemici «culturali» che si oppongono per diversa religione.

La riconciliazione, avvenuta nelle comunità cristiane, tra credenti che provenivano dall’ebraismo e dal paganesimo, è sempre soggetta alla provvisorietà, all’equilibrio instabile: esiste nel presente, ma si affida per il domani alla speranza. Essa è tuttavia il segno di un mondo riconciliato in Cristo, dove non contano i privilegi di razza («siamo figli di Abramo»: cf Evangelo) e tutto ciò che separa, ma conta invece l’unica cosa che unisce: la fede nel Cristo Salvatore.

Isaia ci presenta l’immagine di una società perfetta: un popolo felice e santo, dove le vere esigenze di ogni individuo e quelle della collettività si realizzano concretamente e convivono in armonia. Al centro di queste esigenze sta la pace; la pace viene ottenuta e mantenuta con la giustizia, e la giustizia viene dallo «spirito» di Dio che è l’amore. La società perfetta può sembrare un’utopia, ma Cristo l’ha sancita col proprio sangue, rifiutando di essere il Dio del «tempio» cioè a servizio esclusivo di una casta o di un popolo, e assumendo in pieno il dramma dell’umanità per trasformarla in «novità», in una giustizia perfetta che gli uomini ritengono impossibile perché non sanno rinunciare al proprio «tempio», individualista, classista.

Paolo, nella seconda lettura, fa allusione a conflitti verificatisi nella chiesa primitiva; e ripropone l’esempio e il comandamento di Cristo, d’essere uomini nuovi nell’amore. I cristiani d’ogni tempo hanno tradito la «comunione». Eppure non c’è altro modo d’essere cristiani, se non testimoniando la benevolenza di Dio, vincendo qualsiasi barriera. Dio ha fatto comunione con gli uomini senza tradire la sua «personalità»; così per l’uomo è possibile amare tutti, pur lottando contro il male e restando fedeli alla verità.

La salvezza per l’umanità significa dunque rompere tutte le barriere, uscire da sé per incontrare gli altri, aprirsi alla rivelazione reciproca, perdonarsi e amarsi come persone, come figli di Dio. Così ha agito con noi il Signore Gesù, rispettando le attese e le possibilità di dialogo di ciascuno: nel passato, accostandosi agli Ebrei come realizzatore della «fedeltà» di Dio e ai pagani come portatore di un amore gratuito; oggi, e sempre, suscitando in ciascuno (persona, popolo, generazione…) una risposta originale che diventi poi ricchezza comune. Non è quindi un’utopia sperare in un’umanità riconciliata, nonostante le attuali guerre e divisioni, nonostante gli squilibri e le discriminazioni: perché la salvezza definitiva è opera del Signore che viene e che verrà, e chiede ai suoi amici di collaborare perché il suo progetto divenga sempre più realtà effettiva.

Questo significa accettare il messaggio del Battista, che oggi è quello della Chiesa e dei suoi vescovi, degli uomini più lucidi e impegnati che sono i profeti del nostro tempo, e produrre frutti di penitenza e di conversione. Il giudizio che ci attende lo prepariamo con le nostre mani: il fuoco inestinguibile distruggerà tutto ciò che non ha solidità perché non fondato sulla «sapienza che viene dal cielo» (I colletta); ed è appunto in questa prospettiva che l’assemblea domanda di saper «valutare con sapienza i beni della terra, nella continua ricerca dei beni dei cielo» (orazione dopo la comunione[1]).

L’Eucaristia offre ai cristiani l’occasione di provare il loro universalismo e di rifiutare una separazione fra i «deboli» e i «forti», poiché a questa mensa il Signore si offre per tutti. È il «vincolo dell’unione»: unione con i fratelli, unione con Dio in Cristo. Il nostro incontro con gli altri deve superare gli stretti confini della pura cortesia e della civile convivenza per non vanificarsi. La categoria sociale fondamentale è il rapporto «io-tu». Ora il «tu» dell’altro uomo è il «tu» divino. Il popolo di Dio tiene desta nel mondo questa speranza quando, pur guardando al futuro, vive nel presente in modo credibile, cioè con fede, carità e ferma speranza.

 

Dall’eucologia:

Antifona d’Ingresso Cf Is 30,19.30

Popolo di Sion, il Signore verrà a salvare i popoli

e farà sentire la sua voce potente

per la gioia del vostro cuore.

 

 

[1]Dopo la Comunione

O Dio, che in questo sacramento ci hai nutriti con il pane della vita, insegnaci a valutare con i sapienza i beni della terra, nella continua ricerca dei beni del cielo. Per Cristo nostro Signore.

 

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