Letture patristiche della Domenica di «S. TOMMASO» II di Pasqua, Anno C

Giovanni 20,19-31; Atti 5,12-16; Sal 117; Apocalisse 1,9-11a.12-13.17-19

 

 

  1. «Pace a voi»

 

E quando fu sera in quel giorno che era il primo della settimana, essendo per paura dei Giudei chiuse le porte del luogo dove stavano i discepoli riuniti, venne Gesù, e stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi». E detto questo, mostrò loro le mani e il costato” (Gv 20,18-20). I chiodi avevano trafitto le sue mani, e la lancia aveva aperto il suo costato; ed erano conservati i segni delle ferite per guarire dalla piaga del dubbio i cuori degli increduli. E le porte chiuse non avevano potuto opporsi al suo corpo, dove abitava la divinità. Colui, la cui nascita aveva lasciato inviolata la verginità della madre, poté entrare in quel luogo, senza che le porte venissero aperte.

I discepoli furono pieni di gioia, vedendo il Signore. Ed egli disse loro di nuovo: «Pace a voi»” (Gv 20,20-21)”. La ripetizione ha valore di conferma; cioè egli dà ciò che era stato promesso per bocca del Profeta, pace aggiunta a pace (cf. Is 26,3). “Come il Padre ha mandato me” – aggiunge il Signore – “anch`io mando voi” (Gv 20,21). Sapevamo già che il Figlio è uguale al Padre; ora ascoltiamo le parole del Mediatore. Egli mostra, in effetti, di essere il Mediatore, in quanto dice: Egli ha mandato me e io mando voi. “Ciò detto, alitò sopra di essi, e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo»” (Gv 20,22). Soffiando su di essi, mostrò che lo Spirito non era soltanto del Padre, ma era anche suo. “A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, a chi li riterrete, saranno ritenuti” (Gv 20,23). La carità della Chiesa che per mezzo dello Spirito Santo scende nei nostri cuori, rimette i peccati di coloro che partecipano di essa; ritiene invece i peccati di quanti non sono parte di essa. È per questo che parlò del potere di rimettere o di ritenere i peccati, dopo aver annunziato: «Ricevete lo Spirito Santo».

Ma Tommaso, uno dei dodici, che era chiamato Didimo, non era con essi, quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore». Ma egli rispose loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, e se non metto il mio dito nel luogo dei chiodi, e la mia mano nel suo costato, non credo». E otto giorni dopo, i suoi discepoli stavano di nuovo in casa, e Tommaso era con essi. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo a loro, e disse: «Pace a voi». E poi disse a Tommaso. «Appressa qui il tuo dito, e guarda le mie mani, e appressa la tua mano e mettila nel mio costato, e non voler essere incredulo, ma credente». Tommaso gli rispose e disse: «Signore mio e Dio mio!»” (Gv 20,24-28).

Vedeva e toccava l`uomo, ma confessava la sua fede in Dio che non vedeva né toccava. Ma quanto vedeva e toccava lo induceva a credere in ciò di cui sino allora aveva dubitato.

E Gesù gli disse: «Hai creduto perché mi hai veduto»” (Gv 20,29). Non disse: Mi hai toccato, ma disse soltanto: «Mi hai veduto», perché la vista in un certo modo comprende tutti gli altri sensi. Anche noi, infatti, siamo soliti nominare la vista per intendere anche gli altri sensi, come quando diciamo: Ascolta e vedi che suono armonioso, odora e vedi che odore gradevole, assapora e vedi che buon sapore, tocca e vedi come è caldo. In ognuna di queste espressioni si dice: «vedi», anche se vedere è proprio degli occhi. È così che il Signore stesso dice a Tommaso: «Appressa qui il tuo dito, e vedi le mie mani». Egli dice in sostanza: tocca e vedi, anche se Tommaso non aveva certo gli occhi sulla punta delle dita. Sia alla vista che al toccare si riferisce il Signore dicendo: «Hai creduto perché hai veduto».

Si potrebbe anche dire che il discepolo non lo toccò affatto, sebbene Gesù lo invitasse a farlo. L`evangelista infatti non dice: Tommaso lo toccò. Sia che egli abbia ritenuto sufficiente vedere, sia che abbia anche toccato, è vedendo che credette, e giustamente il Signore esalta come superiore alla sua la fede delle genti che non lo vedranno, con le parole: “Beati coloro che banno creduto, senza avere veduto (ibid.)”. In questa espressione usa il tempo passato, in quanto egli considerava, nella predestinazione, già avvenuto ciò che doveva verificarsi nel futuro.

            (Agostino, Comment. in Ioan., 121, 4s.)