Letture patristiche DOMENICA «DEL VIAGGIO VERSO GERUSALEMME», XIII del Tempo per l’Anno C

Luca 9,51-62; 1 Re 19,16b.l9-21; Salmo 15; Galati 5,1.13-18

 

  1. Le condizioni poste da Gesù per diventare suoi discepoli

 

Colui che mette mano all`aratro e poi si gira indietro non è adatto per il Regno di Dio” (Lc 9,62).

Colui che svolge con cura questo lavoro della natura e guida l`aratro e i buoi secondo le regole umane, non smette mai di guardare davanti a sé; non guarda mai all`indietro perché un tal modo di lavorare non sarebbe farlo con cura, non potrebbe camminare avanti a sé, i suoi solchi non sarebbero aperti in linea diritta, e i buoi non procederebbero innanzi; e questo, per quanto si tratti di lavoro materiale e chi lo vede appartenga del pari all`ordine corporale. Ora, il lavoro del mio discepolo è diverso dall`altro, cosí come un mondo differisce dall`altro, e una vita dall`altra, e gli esseri immortali dai mortali, e Dio dagli uomini. Se dunque assumi il giogo della mia disciplina nella tua anima e nel tuo corpo, svolgi con cura il lavoro dei miei precetti…

Molti si fanno discepoli per fregiarsi del nome di Cristo e non per onorare Cristo; si lasciano ingaggiare da lui per rimanere nei piaceri corporei e non per portare le austerità dei suoi comandamenti. Altri si avvicinano a questa regola che esige rinuncia, spinti dal desiderio di Mammona, e per acquistare fuori dal mondo quello che non possono avere standovi dentro.

Attraverso quell`unico discepolo di cui parla l’Evangelo del nostro Salvatore, Gesú ha stigmatizzato questo pensiero iniquo in tutti gli altri: “Maestro, ti seguirò dovunque andrai; e Gesú gli rispose: Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell`uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8,20; Lc 9,58).

Lungi da me, discepolo d`iniquità! Io non posso darti quello che tu desideri e tu non puoi ricevere quello che io ti do; conosco ciò che chiedi e io non ti do ciò che cerchi; hai creduto di venire a me per amore della ricchezza; sei andato a cercare le tenebre nella luce, la povertà nel possesso autentico, e la morte nella vita; tu vuoi acquistare venendo a me quanto io chiedo a tutti di lasciare per seguirmi; la porta per la quale sei spinto ad entrare per seguirmi è la stessa per la quale voglio farti uscire. Ecco perché non ti accolgo. Io sono povero per la mia condizione pubblica, e, per tal motivo, non detengo pubbliche ricchezze da elargire nel mondo in cui sono venuto. Io sono visto come uno straniero e non ho né casa né tetto, e chi vuole essere mio discepolo eredita da me la povertà: perché vuoi acquistare da me ciò che ti faccio rinunciare a possedere?

            (Filosseno di Mabbug, Hom., 9, 306-307.312-313)