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Quando l’uomo supera infinitamente l’uomo: la legge del Signore nel tempo della pandemia.

Come parlare di fede e di accoglienza nei giorni interminabili della paura del contagio, della malattia e del lutto? Come richiamare storie accoglienti senza scadere nel nostalgico, nel pericoloso gioco del rimpianto, ora che siamo costretti a difenderci dall’altro e a difendere l’altro da noi stessi? Si può sperimentare accoglienza nel tempo della quarantena, nel chiuso della propria casa?

Nella clausura forzata di spazi ridotti alla dimensione domestica, con il corpo che desidera la stanchezza delle lunghe camminate, il fiato corto per le salite verso terrazzi dove lo sguardo è rapito da panorami dai confini lontanissimi è possibile vedere le cose con occhi diversi?

Io credo, non solo come monaco ma come uomo, che non solo si può, ma si deve. Per resistere. Non basta dare ordine alle nostre giornate, riempirle con nuovi rituali; bisogna anche imparare a riconoscere le tante piccole e grandi situazioni in cui riceviamo accoglienza. Come acrobati, percorriamo, con passi incerti, la fune di questo tempo sospeso. Senza qualcuno che ci accoglie, che cammina accanto a noi, rischiamo di precipitare nell’abisso delle nostre fobie, nel buio della nostra solitudine. Propongo qui semplicemente una riflessione di tipo esperenziale che dalle Scritture vede e vive la quotidianità nell’impatto tra la realtà materiale e la vocazione cristiana nella sua ricerca di nutrimento spirituale.

Oltre quaranta giorni di «vita altra», per la maggior parte di noi ore da trascorrere in casa, in pochi metri quadrati e, per molti, anche giornate di solitudine. Abbiamo dovuto inventarci “cosa fare”. Molte sono state le modalità per tentare di sfuggire alla noia e occupare il tempo e lo spazio in cui siamo costretti. Stare davanti alla tv, navigare per ore sul web, esercitarci in cucina, impegnarci in lavori di pulizia o riordino della casa…

Appena ieri sentivamo tutti ch’era troppo furioso il nostro fare quotidiano. Chi viene alcuni giorni in monastero si lamenta sempre della sua vita nel mondo e ci chiama beati per il nostro stile di vita sobrio e più “spirituale”. Probabilmente perché sa poi di poter ritornare presto a casa, nel mondo “reale”. Ci dovevamo fermare e lo sapevamo. Non lo abbiamo fatto, ci siamo stati costretti! Forse dimenticheremo presto la sensazione che abbiamo acquisito come consapevolezza e abbiamo magari ripetuto a noi stessi e agli altri: fermarsi, restare nella quiete, meditare. Come eravamo caduti nella superficialità. La nostra scala dei valori è precipitata. Il denaro, il successo, il potere non bastano più, oggi si comprende bene come i valori siano altri. Quante cose inutili: oggi invece possiamo essere diversi, e trovare addirittura il coraggio di parlare ai bambini della morte. La morte ora è davanti a noi. Prima l’unica esperienza di morte che facevamo era quella che ci colpiva quando mancavano i nostri cari.

Abbiamo riscoperto il gusto delle relazioni non solo virtuali. Per troppo tempo siamo usciti al mattino per rientrare alla sera stanchi e terminare le nostre giornate addormentati davanti alla tv. Questi giorni ci hanno offerto qualcosa di diverso. Lo stare in casa rimane comunque una grande fatica e so di donne che proprio in questi giorni subiscono da parte dei loro mariti, compagni, figli, violenze terribili, esacerbate proprio dall’essere costretti entro le mura domestiche. Si deve superare sempre l’egoismo, amare l’umanità e non fare come la Mafalda di Charles M. Schulz che diceva: «Io amo l’umanità, è il vicino di casa che detesto». Molti hanno riscoperto la gioia della preghiera ed alcuni con la Bibbia, i salmi: «Sta’ in silenzio davanti al Signore e spera in lui» (37,7).

L’espressione “non temere” ricorre nella Scrittura esattamente per 365 volte? Per un anno si potrebbe ogni mattina fare propria una di queste espressioni, come una sorta di “buon giorno” da parte di Dio. Ecco come ci accoglie Dio in questi tempi difficili! E noi riusciamo ad accoglierlo o lo lasciamo fuori dalla porta, lo teniamo ben lontano per paura del contagio?

Oggi possiamo incontrarlo nelle letture della III Domenica di Pasqua.

La celebrazione eucaristica si compone di due parti, dette liturgia della parole e liturgia eucaristica, che formano un unico atto di culto, secondo l’insegnamento del Concilio (SC 56). Ad Èmmaus il riconoscimento di Gesù da parte dei discepoli avviene nello spezzare il pane. E òo «spezzare il Pane» resta come termine tecnico, benché non unico, della Mensa del Signore; tale azione implica sempre la spiegazione delle Scritture e il Fuoco dello Spirito nel cuore di chi le ascolta.

Il coraggio di medici, infermieri, sacerdoti, volontari che hanno perso la vita in questi giorni di pandemia per dare aiuto ai contagiati è enorme ed è per noi una risposta chiara di fede e di accoglienza grande del Fuoco dello Spirito. Queste persone hanno adempiuto la legge dell’amore esternata da Gesù nell’ultima cena: non c’è amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici. Da loro ci viene una grande lezione, la lezione di una resilienza che si trasforma.

Resilienza viene dal latino resilire, che significa rimbalzare. È un termine spesso usato per indicare un metallo che assorbe un colpo senza rompersi. In psicologia, la resilienza è un concetto che indica la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità. Ricostruendo un impianto personale emerge una interiorità grande che non si sospettava di avere. Ecco forse è questa una chiave utile per noi. Non possiamo non vedere questa grande testimonianza di accoglienza nella quale, come diceva Pascal, «l’uomo supera infinitamente l’uomo».

Se nel chiasso di ieri Dio non aveva nessuno spazio nella nostra vita, nel silenzio di oggi possiamo vedere lo spazio che noi abbiamo nella Sua Vita!