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A porte chiuse. La Pasqua e la pandemia, tra paura e riconciliazione.

Oggi l’annuncio di Pasqua arriva nel chiuso delle nostre case, proprio come quella prima Pasqua. Le nostre case, a porte serrate, con il mondo, i suoi rischi, i suoi contagi, le sue brutture che cerchiamo di lasciare fuori. Questa pagina del quarto Evangelo sembra la scenografia ideale per celebrare la Pasqua ai tempi del coronavirus: Giovanni ci racconta che quel mattino solo una donna audace osò recarsi al sepolcro alla ricerca dell’amato perduto, Maria Maddalena, che prova anche a cingere Gesù con un abbraccio, ma lui si sottrae al contatto “non mi trattenere”.

Poi l’annuncio della risurrezione: la tomba vuota, l’incontro con Maria che annuncia: “ho visto il Signore”. Echi lontani, ma a sera, i discepoli sono ancora spaventati, barricati in casa per tenere fuori il pericolo.

Sono arrivati ai discepoli gli echi di quella giornata concitata? È penetrata un po’ di luce nella disperazione per la morte del Maestro? Non sembra. A fine giornata, i discepoli sono insieme, ma non per celebrare, piuttosto per nascondersi, per sottrarsi al pericolo. E così, più di duemila anni dopo, ci ritroviamo nella stessa situazione: anche noi chiusi in casa per paura. I discepoli per paura dei capi religiosi, noi per paura del contagio. Nostro malgrado, in questo disagio, con i nostri culti sospesi, scopriamo di essere ancora più vicini a quella prima Pasqua e sentire come la parola di speranza risorge dalle ceneri della paura.

Mai come oggi il tempo pasquale è tempo privilegiato per l’esperienza della fede.

Siamo ad otto giorni dalla pasqua e Gesù risorto appare in mezzo ai suoi, riuniti nel cenacolo. Dopo altri otto giorni egli apparirà ancora. Questo fatto non è privo di significato e per la Chiesa è stato indicativo dell’importanza della Domenica come giorno della Pasqua e dell’assemblea. Ogni volta che la Chiesa si riunisce, Gesù risorto è in mezzo ai suoi, secondo la sua esplicita promessa, per comunicare loro il dono del suo Spirito e per portarli a una visione di fede.

Le nostre assemblee domestiche non differiscono da quella degli apostoli nel cenacolo; sono anch’esse assemblee di fede. Anche noi siamo chiamati a credere, anzi «a credere senza vedere», cioè a saper cogliere i segni della presenza del Signore attraverso la vita di una Chiesa debole e spogliata negli “eventi” ma più forte nella fede vissuta con la sola forza del battesimo, della mensa della Parola e della preghiera.

Gesù risorto non è conoscibile secondo la carne, cioè coi soli mezzi umani, come esigeva l’apostolo Tommaso, ma davvero col dono della fede. In questa luce comprendiamo davvero l’inestimabile ricchezza del battesimo che ci ha purificati dal peccato, del dono dello Spirito Santo che ci ha rigenerati alla nuova vita divina, del sangue di Cristo versato per la nostra redenzione (Colletta[1]).

Poiché i sacramenti pasquali del Battesimo e dell’Eucaristia ci hanno inseriti nel dinamismo della Pasqua di Cristo, possiamo e dobbiamo oggi esprimere con la vita quanto abbiamo ricevuto mediante la fede.

L’azione di Cristo attraverso i sacramenti esige sempre la risposta della vita. In questo senso ogni singolo e la comunità cristiana possono essere «sacramento di Gesù risorto», cioè segno che deve lasciar trasparire che siamo stati riscattati da una vita vissuta egoisticamente per noi, per passare ad una vita vissuta per gli altri con lo stesso amore di Cristo.

«Noi sappiamo – dice san Giovanni – di essere passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli» (1Gv. 3, 14).

Questo significa aver fatto Pasqua.

Le Parole e i molti altri segni di Gesù oggi dunque raggiungono ognuno di noi a porte chiuse. Ma la speranza pasquale non teme le chiusure. Gesù oggi, come ieri, viene in mezzo a noi e ci annuncia la pace: Pace a voi. Abbiamo bisogno di pace in questo assedio, non è vero?

La sua pace non nega la difficoltà della situazione: Gesù mostra i segni della crocifissione ai suoi per farsi riconoscere, ma anche per non far finta che nulla sia accaduto.

E poi soffia, soffia il suo Spirito.

In quel soffio si rigenera la speranza, nasce e vive la Chiesa. I paurosi, gli sconfitti, ricevono lo Spirito di Cristo per ritornare a vivere. Il primo vagito di questa nuova umanità è stato ed è ancora il perdono. Perdonarsi a vicenda. Siamo creature fragili, codarde, incoerenti. Sbagliamo, ci feriamo, ma se impariamo a perdonarci reciprocamente e a perdonare noi stessi saremo davvero persone pasquali, rimodellate dal Risorto.

Oggi, nel chiuso delle nostre case è entrato Dio, il Risorto. Ha soffiato su ciascuno di noi, ci ha chiesto di far pace con i nostri errori e ci affida il ministero della riconciliazione. Lasciamoci perdonare, perdoniamo a nostra volta; amiamo e sarà Pasqua tutti i giorni, vita ritrovata.

Pietro Distante, monaco

 

[1] Colletta: Dio di eterna misericordia, che nella ricorrenza pasquale ravvivi la fede del tuo popolo, accresci in noi la grazia che ci hai dato, perché tutti comprendiamo l’inestimabile ricchezza del Battesimo che ci ha purificati, dello Spirito che ci ha rigenerati, del Sangue che ci ha redenti. Per il nostro Signore…