Mc 9,38-43.45.47-48 (leggi 9,38-50); Nm 11,25-29; Sal 18; Giac 5,1-6
Ci sono dei crocifissi giansenisti con le braccia rigidamente tese verso l’alto, quasi a significare una salvezza ristretta, destinata a pochi, negando lo Spirito che chiama agli spazi immensi della carità. Che contrasto con le immagini di Cristo del Medioevo, con le braccia aperte e distese, anche se inchiodate al legno, in un gesto di accoglienza che vorrebbe abbracciare il mondo intero! È questo il modo autentico di essere cristiani: aprirsi alle dimensioni dell’umanità.
Un atteggiamento di comprensione e il rifiuto di qualsiasi monopolio spirituale e religioso dovrebbero dunque caratterizzare il discepolo del Cristo. Nell’antico testamento, Giosuè non voleva riconoscere il carisma profetico di due uomini, che non erano andati alla tenda del convegno. Nell’Evangelo, Giovanni non comprende come si possano cacciare i demoni nel nome di Gesù senza appartenere al gruppo dei Dodici. Non succede qualcosa di simile anche a noi quando, col pretesto dell’ortodossia, facciamo coincidere l’appartenenza al Cristo con una scelta particolare di tipo confessionale, sociale o anche politico? Lo Spirito del risorto non può essere l’esclusiva di nessuno; è troppo grande perché si possa circoscriverlo a un gruppo umano, a un movimento a carattere sociale, a una famiglia religiosa; sfugge ad ogni forma di provincialismo ecclesiastico, ad ogni pretesa di impadronirsi del dinamismo di cui è la fonte.
E non dimentichiamo che la tentazione di escludere non è più legittima all’interno che all’esterno della Chiesa. Nelle nostre assemblee sono molti i piccoli, i deboli, che ci sembrano poco illuminati e puerili nei loro atteggiamenti religiosi e nella loro fede. Ma niente ci autorizza ad emarginarli o a disprezzarli. E ancor meno a scandalizzarli, come se avessimo il monopolio dello Spirito e potessimo rivendicare la libertà di fare qualsiasi cosa…
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