DOMENICA «DEL BATTESIMO E DELLA COPPA», XXIX del Tempo Ordinario B

Mc 10,35-45 (leggi 10,32-45); Is 53,10-11 (52,13 – 53,12); Sal 32; Eb 4,14-16

 

 

 

 

 

Gesù ha appena ricordato per la terza volta la sorte che lo attende a Gerusalemme, ma l’arrivismo dei discepoli prende subito il sopravvento sulla paura che per un attimo li aveva assaliti. Dopo la confessione di Pietro a Cesarea e la discussione lungo la strada per sapere chi di loro fosse il più grande, si capisce facilmente l’ambizione che spinge i figli di Zebedeo a rivendicare i posti migliori nel regno messianico della fine dei tempi. Nella corsa ai privilegi, i due sanno bene quello che vogliono, così come gli altri dieci discepoli, nonostante la loro virtuosa indignazione.

In realtà non sanno quello che chiedono e Gesù lo rivela loro, parlando in termini ben diversi di quello che sarà il loro «ministero» e correggendo la loro concezione troppo grossolana del merito, secondo la quale l’uomo potrebbe acquistare dei diritti su Dio.

Il vero discepolo può aspirare a una cosa sola: condividere la passione del maestro. Ma non può rivendicare nessuna ricompensa. Dio è libero di donare a chi vuole. Il cristiano parteciperà semplicemente alla condizione di «servo» che fu quella di Gesù, cioè alla sua vita e alla sua morte per gli altri. La vera grandezza cristiana, infatti, non consiste nel dominare, ma nel servire. Queste sono le basi del governo di una Chiesa costruita sul servizio, secondo l’esempio del figlio di Dio che si china come uno schiavo a lavare i piedi ai suoi discepoli e offre per la moltitudine degli uomini il sacrificio del servo sofferente.

Troppo spesso, nel corso della storia, il governo della chiesa è stato esercitato come un potere o una dominazione. I suoi responsabili hanno trascurato di mettere a confronto la propria missione con quella del Cristo morto e risorto. Secondo l’Evangelo c’è un solo modo di regnare: mettendosi a servizio degli altri.

I «Principi della Chiesa», se di principi si può parlare, non devono avere nessun’altra aspirazione e nessun’altra pretesa. La nostra posizione, nella Chiesa, in qualche modo è simile a quella di Giacomo e di Giovanni. Al servizio del regno, siamo uomini e donne impegnati da una parola data, indubbiamente generosa, ma di cui non sospettiamo tutte le conseguenze: a poco a poco, lungo le diverse tappe della nostra vita spirituale, scopriremo che abbiamo sempre molto da imparare sul suo reale significato.

«Voi non sapete ciò che domandate». Anche noi non sapevamo quello che chiedevamo quando un giorno abbiamo risposto alla chiamata del Cristo. Mettendoci alla sua sequela, forse credevamo che l’oggetto della nostra donazione fosse la conversione della nostra volontà, pensando che si trattasse semplicemente di volere e desiderare beni di un ordine diverso rispetto a quelli a cui può tendere una volontà non ancora convertita. Invece scopriamo a poco a poco…

 

 

 

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