Domenica della «PREPARAZIONE ALLE NOZZE» XIX del Tempo Ordinario C

Lc 12,32-48; Sap 18,3.6-9; Sal 32; Eb 11,1-2.8-19

 

 

Domenica scorsa le letture hanno presentato la ricchezza come un ostacolo per l’accettazione del regno. La lotta per il denaro è uno dei segni rivelatori più evidenti dell’egoismo umano e della divisione. Secondo Gesù, la ricchezza mette l’uomo nel pericolo più minaccioso di non accorgersi della sua venuta, di non percepire l’ultima chiamata di Dio, di non possedere quella radicale libertà di cuore e di tutte le sue energie che è necessaria per l’accettazione piena del regno di Dio. Per questo egli chiede a coloro che vogliono accogliere il regno di Dio e seguire lui più da vicino, di dare in elemosina i propri beni e diventare poveri essi stessi. Il termine della donazione sono i poveri. L’uomo per «avere» è disposto a tutto, anche a derubare il fratello: la donazione libera e gratuita è il segno di una «inversione» di marcia. È il segno della venuta del Regno che è «comunione degli uomini fra loro e con Dio» e non opposizione.

Nella sua riflessione morale l’uomo ha sempre visto nell’avere, nella ricchezza, un pericolo di alienazione. In tutta la storia del pensiero e delle religioni c’è un appello al distacco dai beni materiali in vista della liberazione e della realizzazione della persona.

La povertà evangelica non è su questa linea; non la nega, ma la trascende. Non è moralistica né centrata sull’uomo, ma sulla persona di Gesù. La povertà evangelica è una conseguenza della fede in Gesù e nell’avvento del Regno di Dio. Gesù ha voluto essere povero e ha predicato la povertà non soltanto come liberazione spirituale o morale, ma come condizione della incarnazione redentrice, passaggio necessario verso la risurrezione e preparazione al suo ritorno (Fil 2,5-11; 2 Cor 8,9-15: «9Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. 10E a questo riguardo vi do un consiglio: si tratta di cosa vantaggiosa per voi, che fin dallo scorso anno siete stati i primi, non solo a intraprenderla ma anche a volerla. 11Ora dunque realizzatela perché, come vi fu la prontezza del volere, così vi sia anche il compimento, secondo i vostri mezzi. 12Se infatti c’è la buona volontà, essa riesce gradita secondo quello che uno possiede e non secondo quello che non possiede. 13Non si tratta infatti di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. 14Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: 15Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno»).

L’appello di Gesù alla povertà è radicato nella sua persona. Egli sa e dichiara che con lui ed in lui è giunto il Regno di Dio. Questo fatto, quando è conosciuto attraverso l’annuncio, invita a prendere posizione, costringe a una decisione assoluta.

Non si tratta semplicemente della scelta tra il bene e il male di fronte a cui la coscienza dell’uomo si trova in ogni istante, e neppure dell’affermazione o negazione di Dio. Si tratta di una realtà ben più profonda e decisiva: in Gesù, Dio fa all’uomo la suprema e definitiva offerta della salvezza, e perciò con la sua iniziativa lo spinge a prendere una decisione definitiva.

«Seguire Cristo significa incontrare i poveri sulla propria strada. L’aver dato da mangiare all’affamato, vestito l’ignudo, visitato il malato o il carcerato, sarà titolo determinante al momento del giudizio definitivo. E quel giudizio finale è già in atto oggi su ogni nostra giornata. Con esempi tratti dal suo ambiente, Gesù ha voluto far capire che solo chi sente la fame, la nudità, la ristrettezza, il bisogno, l’abbandono sofferto dagli altri e fa di tutto perché ne siano liberati, è l’uomo del Regno. Ma decidersi per i poveri non basta. Gesù chiede di più, e cioè che ciascuno di noi si faccia volontariamente “povero”. È il programma di vita proposto da lui e che i suoi seguaci dovranno vivere nello spirito delle beatitudini» (CdA, pag. 32).

La povertà evangelica volontaria perciò non è tanto un programma di «giustizia sociale» e nemmeno una pratica ascetica, anche se non esclude questi valori, ma è un atto di fede e d’amore. Seguire Cristo nella povertà evangelica è anche attenderlo nella gioia come la sposa attende lo Sposo per la festa delle nozze.

 

 

 

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