DOMENICA «DEL RIGETTO DEL SIGNORE A NAZARETH», IV del Tempo per l’Anno C

Luca 4,21-30; Geremia 1,4-5.17-19; Salmo 70; 1 Corinzi 12,31-13,13

 

 

«Che significato ha per noi, oggi, questa pagina di Luca redatta con tanta sapienza? Ci ricorda che nessuna patria può pensare che il figlio del carpentiere le appartenga. Che nessuna sinagoga, nessuna chiesa può rinchiudere in se stessa Gesù. E che i popoli santi, siano essi l’antico Israele o il nuovo popolo dei battezzati, devono continuamente convertirsi e abbattere le mura che tendono a costruire intorno a sé, per camminare verso quei luoghi sempre nuovi dove Gesù vuol compiere il miracolo dell’umanità rinnovata. Bisogna che ci chiediamo se Gesù è il profeta della nostra vita, se è il profeta della nostra chiesa. Fin dai libri più antichi della Bibbia si vede chiaramente che i profeti non sono né uomini del tempio, né servi del palazzo. Sono uomini liberi, radicati in Dio e nell’umanità. Gesù appartiene alla razza ardente e scomoda dei profeti. Con la sua vita e con la sua morte. Lasceremo che squarci le nostre chiese, per aprirle alle aurore di Dio?»

(Gérard Bessière, Poeta)

 

«Oggi si è adempiuta questa scrittura». Quale? «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio… e predicare un anno di grazia del Signore» (cf. Is 61,1-2): l’Evangelista condensa tutto il discorso di Gesù a Nazareth in queste brevi parole. Dobbiamo rassegnarci a non conoscerne più dettagliatamente il contenuto, limitandoci ad osservare la reazione della gente. Dapprima riservati, poi più che reticenti, i concittadini di Gesù avanzano pretese decisamente campanilistiche: perché non ripete nel suo villaggio i prodigi che ha compiuto a Cafarnao? Poi l’atmosfera si surriscalda, al punto che gli ascoltatori tentano di ucciderlo, quando egli si appella ai grandi profeti del passato che hanno concesso i loro miracoli ai pagani per meglio denunciare l’incredulità del loro popolo.

Cerchiamo di non accontentarci di una lettura superficiale di questo brano, che contiene la presentazione di un tema fondamentale, l’abbozzo di una sinfonia che Luca svilupperà nel suo Evangelo e poi nel libro degli Atti. Si tratta già del destino di Gesù e del suo messaggio, della sua tragica fine, ma anche del fuoco che egli è venuto a portare nel mondo, e che dopo la Pasqua si propagherà «a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra» (At 1,8). L’«oggi» di questo Evangelo che si apre su orizzonti universali riguarda dunque anche noi. È come il leggero rullio della nave ancorata nel porto, che la chiama lontano, al di là dei mari, verso isole ancora sconosciute. Non confiniamo Gesù a Nazareth e nel primo secolo della nostra era, mentre la sua parola è per ogni razza, per ogni cultura, per tutto il mondo e per tutte le epoche della storia!

 

 

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