Gv 20,19-31; At 4,32-35; Sal 117; 1 Gv 5,1-6
La fede nel Cristo è il fondamento della nostra figliolanza divina: «Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio» (1 Gv 5,1 II lett.). E questa divina paternità, che tutti accoglie, ci rende tra noi fratelli, legati da un vincolo di amore che fa capo al Padre comune perché chi ama il Padre «ama anche chi è nato da lui». Gesù è colui che nella sua passione ha superato la grande prova dell’amore, e ci comunica proprio nell’atto della sua risurrezione, la forza di accogliere e vivere in pienezza il suo comandamento nuovo: «Amatevi a vicenda come io ho amato voi» (Gv 13,34). Questo «miracolo» dell’amore che deve giungere fino ai nemici, pure essi figli di Dio, è il frutto più prezioso della fede nella forza salvifica e redentrice della risurrezione ed è il segno della nostra appartenenza a Cristo: «Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni verso gli altri» (Gv 13,35).
L’Evangelo ci presenta Gesù che la sera del giorno stesso di Pasqua, appare agli apostoli, increduli ed esitanti, ancora chiusi in casa per paura dei giudei. La fede non aveva ancora illuminato le loro menti né aperto i loro cuori, perciò il timore e il dubbio li dominavano. Ma Gesù entra a porte chiuse: il suo corpo, reale, ma glorioso e incorruttibile, non conosce più barriere né ostacoli; come ha spezzato i vincoli del sepolcro e della morte, penetra attraverso le porte sbarrate e ancora più può irrompere nei nostri cuori chiusi e induriti dall’incredulità e dall’egoismo, per spalancarli alla speranza e all’amore.
Gesù, entrato dai discepoli timorosi, comunica loro il grande dono della pace e per rassicurarli mostra loro le mani e il costato che portavano ancora il segno delle ferite. Poi investe i discepoli, ormai pieni di gioia per averlo riconosciuto, della stessa missione che a lui era stata affidata dal Padre. Quindi, alitando su di loro…
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