Gv 1,1-18; Sir 24,1-4.8-12 (leggi 1-12); Sal 147; Ef 1,3-6.15-18 (leggi 1-19)
Il Verbo, fra gli uomini è presente nel mondo e il mondo non lo conosce. Non è una luce che abbaglia. È «la luce vera». Quando gli uomini si incrociano, di notte, sui loro bolidi che sfrecciano via con tutti i fari accesi, si accecano senza illuminarsi. La luce vera, invece, è capace di attenuarsi. Non abbaglia, ma penetra nel cuore degli uomini, illumina le loro gioie e le loro pene, il loro lavoro e le loro giornate. Gli uomini hanno bisogno di vedersi rivelati dalla luce vera dell’amore. Soltanto allora, anche se nati dalla carne e dal sangue, dal volere di una creatura di carne, possono rinascere da Dio, possono diventare figli di Dio. Dalla sua pienezza tutto abbiamo ricevuto, per dire al mondo, a nostra volta, la parola che fa vivere.
«Io sono uscita dalla bocca dell’Altissimo e ho ricoperto come nube la terra… Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi creò… ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso…». La prima lettura di questa domenica costituisce uno dei grandi elogi della Sapienza divina: essa si identifica da una parte con la Parola di Dio personificata, dall’altra con lo Spirito divino che si librava sulle acque primordiali.
Il prologo di Giovanni ha un andamento molto simile: Gesù è chiamato la Parola, il Verbo, in quanto rivelazione definitiva del Padre. E la Parola, per Giovanni, evoca precisamente il ricordo della Parola divina dell’Antico Testamento, Parola che trova la sua perfezione in Gesù: egli è la Parola di Dio fattasi carne per la vita del mondo.
La seconda lettura è costituita dall’inno con cui Paolo inizia la lettera ai cristiani di Efeso. Dio ci ha predestinati ad essere suoi figli per opera di Gesù. Dobbiamo chiedergli «uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui».
Ci troviamo di fronte ad un grande trittico scritturistico:…
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