Giovanni 2,1-12; Isaia 62,1-5; Salmo 95; 1 Cor 12,4-11
«È bene anche per te, fratello, che ti manchi il tuo vino e che tu non segua la tua logica: che Gesù ti faccia riempire di acqua le tue giare e in seguito cambi l’acqua in vino. Ascolta l’apostolo delle genti, ascolta uno dei versi che sanno da dove viene e come è stato prodotto il vino buono: “Se tra voi qualcuno sembra essere sapiente”, cioè sembra avere del vino, vuoti accuratamente se stesso per essere colmato di vino eccellente, cioè “diventi stolto per essere saggio”; si vuoti dell’orgoglio, perché chi crede di sapere qualcosa ignora ancora come bisogna sapere. Guai a coloro che si ritengono sapienti, perché nel momento stesso in cui si dichiarano sapienti diventano stolti. E si riempia d’acqua, cioè prenda coscienza della propria stoltezza e della propria debolezza; e così appaia a se stesso come è, per diventare ben presto ciò che non è ancora». (Isacco della Stella, Sermoni)
Invitato a Cana con sua madre, Gesù vi si reca in veste di amico, di vicino, accompagnato dai suoi discepoli. Forse non sa ancora che quel matrimonio gli offrirà l’occasione per compiere il primo dei segni del suo ministero. Per Giovanni, che scrive nel prologo del suo Evangelo: «In principio era il Verbo», l’«inizio dei segni», cioè dei prodigi che devono provare l’autenticità messianica di Gesù, rappresenta la traduzione nel tempo della sua gloria eterna. L’Evangelista riferisce questo «segno», questo miracolo, perché noi crediamo che Gesù è il Cristo, il figlio di Dio e perché, credendo, abbiamo la vita nel suo nome (Gv 20,30-31).
Non è casuale che all’inizio della vita pubblica di Gesù si collochi una cerimonia di nozze, perché in lui Dio ha sposato l’umanità: è questa la buona notizia, anche se coloro che l’hanno invitato non sanno ancora che alla loro tavola è seduto il figlio di Dio, e che il vero sposo è lui. Tutto il mistero di Cana si fonda sulla presenza di questo sposo che comincia a rivelarsi. All’insaputa del maestro di tavola, infatti, Gesù «ha conservato il vino buono» fino a quel momento. Frutto della vite e del lavoro umano, il vino è la bevanda per eccellenza delle feste di nozze. Una vena della terra ha sanguinato al sole, offrendo il risultato di un anno di lavoro del vignaiolo. Attinto alle giare di pietra riservate alle abluzioni rituali, il vino di Cana, servito per ultimo, non poteva essere scadente: doveva avere il profumo della redenzione e la forza della vitalità dell’uomo-Dio.
Nel Medioevo si rappresentava volentieri la Madre di Dio con in braccio il bambino Gesù che spreme un grappolo d’uva. A Cana, Maria è presente, e si accorge per prima che il vino è venuto a mancare. Come allora ai servi, anche oggi la madre di Dio ci ripete: «Fate quello che vi dirà».
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